Lo scorso 21 settembre la Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 27706, è ritornata sull’importante tema della c.d. autotutela sostitutiva affermando principi oltremodo pregiudizievoli per il contribuente.
Principi che, è bene ribadirlo, confliggono fortemente con la ratio legis che sta alla base della recente riforma del processo tributario, apportata dalla L. 130/2022.
Mediante la c.d. autotutela sostitutiva e in base alla tesi tradizionale, l’ente impositore può annullare un proprio atto perché affetto da vizi di natura formale e riemetterlo senza il vizio che, in origine, avrebbe condotto alla sua possibile illegittimità (Cass. 16 luglio 2003 n. 11114 e Cass. 20 ottobre 2011 n. 21719).
Da qualche tempo, la giurisprudenza di vertice ha attuato un inarrestabile percorso di compressione dei diritti del contribuente, affermando che il vizio non deve per forza essere formale potendo riguardare ad esempio la motivazione (Cass. 12 ottobre 2021 n. 27874) o l’errata competenza fiscale (Cass. 1° marzo 2022 n. 6621) e che, addirittura, l’atto affetto dal vizio può essere riemesso aumentando la pretesa (Cass. 3 dicembre 2019 n. 31476).
Con la sentenza n. 27706 in commento i giudici proseguono purtroppo su questo filone, sancendo a chiare lettere che l’autotutela sostitutiva incontra solo il limite del giudicato esterno formatosi e dell’intervenuta decadenza dal potere di accertamento.
Ove tali requisiti non siano presenti, l’ente impositore, annullando il precedente atto, può sostituirlo con uno nuovo non incontrando nessun limite anche cambiando radicalmente la pretesa.